I colori dell'alba., Contest Fan Fiction #2

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‚phantomrider
view post Posted on 1/7/2010, 18:18




Titolo: "I colori dell'alba"
Raiting: credo NC17
Avviso: tutto ha origine nella mia fantasia, blablabla, Marco non mi appartiene, blablabla, non è scritta a scopo di lucro, blablabla... (:
Scritta per il secondo Contest di Fan Fiction!
PROMPT: rabbia, tatto, scale, sigaretta, arancione.

I raggi di un sole impertinente lo colpirono in pieno viso. Un’altra volta si era dimenticato di abbassare le tapparelle della finestra; tentò di riaddormentarsi mettendo la testa sotto il cuscino, ma realizzò di avere un tremendo mal di testa. E di non ricordarsi niente della sera prima.
Niente, a parte il nero alto due metri con cui la sua “amica” era fuggita, la mano di quel… coso – che poteva essere benissimo uomo, donna, asessuato o trans – che l’aveva accompagnato a casa che gli carezzava una coscia e lui che si scapicollava fuori dalla macchina e saliva a casa.
Guardò l’orologio: le due e un quarto.
Aveva bisogno di aria fresca.
Si vestì un po’ alla cavolo e uscì, imprecando contro il suo schifoso appartamento. Quarto piano, e nessun ascensore.
«Stupido palazzo! Stupide scale! Stupida sbornia!», ringhiò tra i denti mentre usciva dal portone.
Lo investì il caldo insopportabile di una Roma estiva. Era luglio, e il sole splendeva allegro quasi a farsi beffa di lui.
Marco grugnì. Stupido sole, pensò.
Il bar dove andava di solito sembrava più piccolo e più pieno di tutti gli altri giorni. Cavolo, era luglio! La gente non ci andava in vacanza?
Ordinò un caffè e si abbandonò sul primo tavolino libero.
Appoggiò i gomiti e si strofinò gli occhi, poi sentì improvvisamente umido sul braccio sinistro. Abbassò lo sguardo e si accorse di aver inzuppato per bene il gomito in un rimasuglio di crema, probabilmente sfuggito dal cornetto di qualcuno che era seduto a quel tavolo prima di lui.
«Stupido bar, stupida giornata! Hmmm…», si trattenne dall’inveire anche contro il cameriere che gli portava il suo caffè.
Lo bevve, amaro, e si sentì quasi meglio. Pagò e uscì dal bar.
Non sapendo affatto dove andare prese una direzione a caso e senza volerlo si diresse verso il parco e si lasciò cadere su una panchina.
Dopo poco involontariamente si addormentò. Si risvegliò al tramonto e si maledisse mentalmente per essersi abbioccato così in fretta. Si avviò verso casa. Il mal di testa se n’era quasi andato, ma l’arrabbiatura no.
Oh, appena avrebbe visto Maria gliene avrebbe dette di tutti i colori! Lo sapeva benissimo che Marco ci metteva giorni per superare una sbornia, lei!
Si conoscevano da così tanto tempo… da sempre, o almeno da quando i ricordi di Marco cominciavano. Qualsiasi cosa importante successa nella sua vita, bella o brutta, triste o allegra, giusta o sbagliata… Maria c’era. E Marco c’era sempre stato per lei. Quando Maria si era trasferita a Roma dalla zia, Marco aveva deciso di seguirla trovandosi un lavoro e un appartamento. Un appartamento del cavolo, ma almeno aveva un tetto sotto cui vivere. Erano grandi amici, e fino a poco tempo prima si vantava di aver infranto i pregiudizi sull’amicizia impossibile tra uomo e donna, finché Maria non si era presentata a casa sua – esattamente un anno, sei mesi e ventitré giorni prima, sì aveva tenuto il conto – completamente ubriaca e non aveva cercato di convincerlo ad andare a letto con lei. Probabilmente se non si fosse sentito uno schifo di persona ad “abusare” di lei così – ricordiamo che era ubriaca - Marco si sarebbe anche concesso, ma erano amici da così tanto tempo e il sesso avrebbe rovinato tutto.
Solo che dopo il bacio rovente di Maria lui aveva iniziato a sentire uno strano calorino alla pancia quando la vedeva, la trovava incredibilmente ogni giorno più bella e quando sapeva che stavano per incontrarsi iniziavano a sudargli le mani. Quando dovevano separarsi invece sentiva un peso sul petto, come se un masso enorme fosse stato messo al centro del suo sterno per colmare il vuoto che avrebbe lasciato la sua assenza.
Sapeva che Maria aveva tanti difetti, e non faceva finta di non vederli. Semplicemente lui li accettava. E quando si era reso conto di essere innamorato di lei, beh… si era sentito un grandissimo stupido.
E ora lei non si sentiva più.
Avrebbe potuto almeno chiamarlo, per dirgli che stava bene o che non era rimasta incinta di quel tizio assurdamente alto! Cos’era poi, Jamaicano? Africano? Sudamericano?
«Maledetta», disse tra i denti mentre apriva il portone.
Quando arrivò a casa si era fatto praticamente buio. Si accinse a salire le scale, ma arrivato alla rampa tra il terzo e il quarto piano si fermò.
Maria era seduta sul terzo gradino, le gambe bellamente allungate sul gradino più basso e i piedi accavallati uno sull’altro. Fumava una sigaretta, ignorando il fatto che non si potesse fare dentro il palazzo, ed era bellissima.
Indossava un vestito arancione. Sì, arancione fluo, era molto da Maria. I capelli castani liscissimi erano raccolti in una lunga treccia che quasi finiva nella vertiginosa scollatura. Il suo seno non era tanto grande, però insomma: lui era sempre un uomo!
Lo guardò con i suoi occhi verdi oliva sbattendo le lunghe ciglia in un epressione che diceva tutto e niente, e improvvisamente Marco si ricordò perché gli piaceva così tanto guardarla.
Si ricompose come meglio poté e parlò tentando di non far tremare la voce, anche se tradì comunque un leggero nervosismo.
«N-non si può fumare qui, lo sai.» asserì il più deciso possibile.
«Non mi pare ci sia nessuno che possa impedirmelo», rispose lei.
Marco si sentì improvvisamente inondare dalla rabbia. Ah, così lui era nessuno?
«C’hai ragione, scusa. M’ero dimenticato di non essere una persona. Però me l’hai ricordato bene quando m’hai mollato in quel posto assurdo pieno de gente che non conosco e non voglio conosce, completamente ubriaco, mentre te n’annavi co’ quel tipo pe’ fatte…»
«Marco! Mi vuoi far parlare oppure sei convinto che improvvisamente ti odi?», lo interruppe lei saltando in piedi. Dal secondo gradino era alta quasi come lui.
«Beh, qualche dubbio me lo fai venì…», borbottò Marco incrociando le braccia come un bambino.
«Ma che dici! Marco ero ubriaca, ti rendi conto? Non rispondevo delle mie azioni!»
«Non me ne frega un cavolo!»
«Che ti urli? La gente sente!», disse lei rimproverandolo. Lo rimproverava sempre, era una cosa che odiava. Aveva anche un anno in meno di lui, cosa voleva rimproverargli? Era lei quella che si faceva le canne ai festini con quella gente strana.
«CHE SENTA! … non sei più la stessa, Marì. Frequenti gente strana, vai a feste strane…», la guardò in viso addolcendo la voce, ma lei sembrava arrabbiarsi sempre di più.
«Non ti deve assolutamente interessare con chi esco io».
«Sì che me interessa, invece! Può succederti di tutto!»
«Ma che ti importa? Io so badare a me stessa.»
«Ah sai badà a te stessa? Ok, allora come si chiama quel tizio con cui sei scappata ieri?»
Maria esitò. Non voleva litigare, ma non gli lasciava scelta. Doveva capire in cosa stava sbagliando e perché si preoccupava per lei.
La ragazza abbassò lo sguardo e Marco annuì.
«Come pensavo… almeno sai quanti anni c’aveva? Da dove veniva? Se era italiano o no? Almeno l’avete fatto sicuro?»
«Ovviamente! … credo… sp-spero… mi credi una scema!?» concluse stizzita.
«Sinceramente? ‘N po’ sì.», lei sbuffò.
«Perché ti preoccupi tanto per me?»
«Come perché? Che domande sono? Perché… perché…»
Avrebbe voluto dirle, anzi urlarle, che si preoccupava perché l’amava, perché non voleva vederla con altri uomini, perché voleva che fosse solo sua e perderla… l’avrebbe distrutto.
Stava quasi per farsi coraggio quando Maria scosse la testa, buttò il mozzicone di sigaretta che ormai si era spento tra le sue dita e prese a scendere le scale.
«Maria!», la superò e si mise davanti a lei per impedirle di scendere.
«Spostati.»
«No, dai aspetta!»
«Ho detto spostati»
«Ma che ho detto di male?»
«Che hai detto di male? Marco, siamo amici da una vita, lo sai che ti adoro e improvvisamente non ti sta bene la gente che frequento, non ti sta bene quello che faccio, non ti sta bene dove vado… e quando cerco di coinvolgerti perché mi manchi, e lo sai che non ci vediamo praticamente più, tu mi rinfacci di essermi presa una stupida sbronza? E poi non mi spieghi neanche che cavolo ti prende! Ti sembra un ragionamento normale? Non mi dici neanche perché, che c’è?»
«C’È CHE TI AMO!», urlò lui. Maria si fermò con la bocca mezza aperta, come se stesse per dire qualcosa, gli occhi spalancati.
«Che cosa?», sfiatò incredula.
Marco fece un respiro profondo, era il momento di dirglielo.
«Ti amo, e lo sai. Quando ti vedo mi sento… mi sento male. Però in senso positivo eh! – lei ridacchiò: aveva gli occhi lucidi – cioè… non lo so che mi è preso. Lo so che siamo sempre stati amici, ma vederti con altri… altri che non sono me, mi rende incredibilmente violento. E nervoso. E penso a come vorrei stacce io al posto loro, Marì!» la ragazza rise ancora per il suo accento romano. Era una cosa che adorava, in lui.
Marco salì il gradino che li separava, prese il suo viso tra le mani.
Con un sorriso si chinò su di lei e finalmente, dopo un anno, sei mesi e ventitré giorni, poté riassaggiare quelle labbra. Sapevano di fumo e di miele, proprio come se le ricordava. Gli accarezzò una guancia, la sua pelle era così morbida al tatto.
Si staccò e la guardò negli occhi.
«Ma che stai a piagne?», disse ridendo.
Anche lei rise e si asciugò le lacrime.
La guardò bene, era sua? Era davvero sua?
«Anch’io ti amo», sussurrò lei sulle sue labbra.
Si baciarono ancora, ma questa volta non fu dolce e timido come il primo bacio. Le loro lingue ballarono insieme una danza sconosciuta, Maria cinse le spalle di Marco con le braccia e lui la strinse di più a sé.
Passò dalle sue labbra alla gola, segnando una scia di baci roventi.
La ragazza si trovò presto con la schiena contro il muro, lasciandosi sfuggire un mezzo sospiro.
Percorse la linea della clavicola con la lingua per poi tornare alle sue labbra. Poi lei gli sussurrò un ‘non qui’ tra un bacio e l’altro e tentarono di salire le scale fino al suo appartamento senza staccarsi.
Alla seconda rampa, vedendo che la cosa si dilungava troppo, Marco la prese direttamente in braccio e Maria allacciò le gambe ai suoi fianchi.
Mentre lui apriva la porta la ragazza stuzzicò il lobo del suo orecchio sinistro con la lingua e Marco si sentì morire.
Ringraziò di avere un appartamento piccolo e sbattendo di qua e di là sugli stipiti delle porte arrivarono nella sua stanza. Il letto era ancora disfatto da quella mattina e il sole entrava nella camera, i raggi liberi dal vetro della finestra aperta.
Caddero sul letto ancora avvinghiati.
Marco tornò al suo collo, poi scese sulla spalla seguendo il movimento lento della spallina del vestito mentre gliela toglieva.
Tornarono a baciarsi e la mano di lui finì inevitabilmente sulla sua coscia, risalendo lentamente oltre il vestito, giocando con l’elastico degli slip di lei.
Maria si concesse un gemito contro le sue labbra, ma prima che Marco potesse prendere un’altra iniziativa ribaltò le posizioni, mettendosi a cavalcioni su di lui.
Sorrise e scosse la testa, era sempre la stessa. Ghignando maliziosa, la ragazza gli sfilò la camicia a maniche corte che aveva sopra la t-shirt, per poi prendere i bordi di quest’ultima e iniziare a sfilarla con lentezza calcolata, seguendo il movimento dell’orlo con le labbra in una lenta tortura.
Quando anche la maglietta fece compagnia alla camicia, Marco si tirò su a sedere e sfilò tutt’e due le spalline del vestito arancione fluo, scoprendo i seni liberi dal reggiseno.
Scese a lambirle i capezzoli turgidi per l’eccitazione, baciandoli teneramente. Maria si alzò in ginocchio inarcando la schiena per avvicinarsi di più a lui. Gemette più forte e Marco si sentì impazzire. La voleva, subito.
Presto anche il vestito si disperse in un angolo della stanza. Le mani di lei si posarono sul suo petto, spingendolo delicatamente a risdraiarsi, per poi scendere sulla cintura dei suoi pantaloni e slacciarla con esasperante lentezza.
Senza staccarsi dalle sue labbra, anche i pantaloni furono sfilati. Ribaltarono ancora la posizione e Marco scese a baciarle il mento, poi la gola e la pelle morbida dello spazio tra i suoi seni, scendendo fino all’ombelico e fermandosi all’elastico degli slip neri.
Guardò l’espressione ebbra di passione di Maria e sorrise malizioso. Con le dita andò ad accarezzare la sua femminilità e lei gemette ancora, inarcando la schiena.
Piano, Marco fece scivolare anche quell’ultima barriera di inibizione verso le caviglie della ragazza. La sua lingua andò a stuzzicare quel punto delicato e lei si lasciò sfuggire un gemito più forte e alzò il bacino per avvicinarsi ancora di più a lui. A quel punto Marco non resistette e introdusse un dito che entrò facilmente, tornando poi a lambire le labbra di lei per soffocare quel sospiro che ne stava per uscire.
Un altro dito e Maria tremò sotto di lui per l’eccitazione; ancora un gemito e Marco sarebbe impazzito. La ragazza riuscì a ribaltare la posizioni in un attimo di lucidità strappandogli una specie di ringhio di mezza disapprovazione. Lui si sedette ancora, poggiando la schiena contro la parete mentre lei lo baciava, passionale, cingendo il suo collo con le braccia.
A quel punto anche lui sollevò il bacino mentre Maria lo aiutava a togliere i boxer.
Quando sentì il contatto con la sua erezione la ragazza gemette ancora più forte e si sistemò a cavalcioni su di lui. Poi scese piano e lo lasciò entrare, aprendogli la porta del piacere per abbandonare il desiderio inespresso.
Maria non era assolutamente vergine, ma non aveva mai fatto l’amore come quella volta.
Fu una notte piena di passione, sì, ma in ogni gesto di Marco poteva sentire la delicatezza e la dolcezza che ci metteva e questo quasi la fece commuovere.
Quando finalmente raggiunsero l’apice del piacere Maria sussurrò il suo nome e, baciandosi, soffocarono gli ultimi gemiti di quella notte.

Rimasero sdraiati sul letto, con la testa dalla parte dei piedi, verso la porta-finestra.
Si erano rimessi la biancheria e Maria, con un sorriso, aveva indossato la sua camicia, lasciandola sbottonata. Quel colore gli donava.
Marco aveva la testa poggiata appena sotto il suo seno e lei gli carezzava dolcemente i capelli.
«Marco…», sussurrò ad un certo punto.
Lui mugolò in risposta, godendosi la delicatezza del suo tocco.
«Guarda, sta albeggiando», continuò sempre a bassavoce, per non rovinare l’atmosfera.
Marco si alzò sostenendosi sulle mani e osservò fuori dalla finestra.
«Non è bella?», chiese lei.
Il ragazzo la guardò e sorrise. Le luci timide dell’alba la colpivano in parte, illuminando di un leggero rosa-arancio la sua pelle e lasciando alcune parti in ombra. Era un’apparizione.
«Non c’è paragone con la tua, di bellezza», disse quindi sorridendo.
Maria rise sommessamente, lo avvicinò prendendo il suo viso tra le mani e lo baciò con una dolcezza immensa.
Rimasero così, abbracciati, a guardare la notte che veniva lentamente mangiata dal sole sorgente.

Note: (messe a fine pagina per non spoilerare) era la prima scena di sesso che scrivevo. sorry per l'inesperienza xD spero di non essere caduta nello smielato (tanto lo so che ci sono caduta, è inevitabile per me ç___ç) altrimenti sappiate che è la carenza di affetto.
SPOILER (click to view)
e la mancanza di un ragazzo. argh <.<


Edited by ‚phantomrider - 2/7/2010, 21:42
 
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»RIOT~
view post Posted on 1/7/2010, 18:34




CITAZIONE
altrimenti ..la mancanza di un ragazzo. argh <.<

xDxD

E', è pellissimo. Sono così dolci.
 
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‚phantomrider
view post Posted on 1/7/2010, 18:41




Grazie *-*
non c'è paragone con le altre one shot, però insomma era per mettermi alla prova, visto che è tanto che non scrivo. no-ispiration xD
 
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Pearl~
view post Posted on 1/7/2010, 19:22




Daai. *Me coccola...* (Neim?)
Sei stata plava.
 
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‚phantomrider
view post Posted on 1/7/2010, 19:25




Neim sarebbe il nome? xD facciamo tilde xD grazie <3
 
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Pearl~
view post Posted on 1/7/2010, 19:33




CITAZIONE (‚phantomrider @ 1/7/2010, 20:25)
Neim sarebbe il nome? xD facciamo tilde xD grazie <3

Sì, neim sarebbe nome :DD
Ocappa Tilde, io sono Simona *Me patta Tilde* :patt:
 
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RubyLove87
view post Posted on 1/7/2010, 20:04




tilde ...tilde....tilde....tilde... brava tilde hai fatto venire caldo pure a una che la reputazione l'ha persa da tempo... *cerca ventaglio* qualcuno spenga il riscaldamento grazie!!! :urto:
pellissima
 
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;LadyG.
view post Posted on 1/7/2010, 21:11




Tildeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee DDDDDD:
Mi è piaciuta tanto DDDD:
Cioè e questa sarebbe la prima NC17 che scrivi? DDD:
Non voglio immaginare quando farai esperienza allora :o
*prende ventaglio anche lei*
 
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_Shinami_
view post Posted on 1/7/2010, 22:29




Tilde uh! Che caldo! Meno male che ho il condizionatore acceso sorella.
A me è piaciuta tanto, hai un modo di scrivere originale e per niente scontato. Sì, me laic! Un beso tua Cri.
 
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pazzadimarco…cri
view post Posted on 2/7/2010, 11:51




Bellaaaaaa!!!
 
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‚phantomrider
view post Posted on 2/7/2010, 19:53




CITAZIONE (RubyLove87 @ 1/7/2010, 21:04)
pellissima

Addirittura? XDDD grazie mille!

CITAZIONE (;LadyG. @ 1/7/2010, 22:11)
Tildeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee DDDDDD:
Mi è piaciuta tanto DDDD:
Cioè e questa sarebbe la prima NC17 che scrivi? DDD:
Non voglio immaginare quando farai esperienza allora :o
*prende ventaglio anche lei*

Ciooooo DDDDD:
eh sì è la prima giuro! :asd:
grazie <3

CITAZIONE (_Shinami_ @ 1/7/2010, 23:29)
A me è piaciuta tanto, hai un modo di scrivere originale e per niente scontato.

No dico ma grazie! è un complimento bellissimo *-*


Grazie a tutte, davvero (:
 
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helena‚
view post Posted on 3/7/2010, 00:41




(caldo .-.) non ti preoccupare, è romantica al punto giusto \o/
CITAZIONE
Lo guardò con i suoi occhi verdi oliva sbattendo le lunghe ciglia in un epressione che diceva tutto e niente

brava :zizi:
 
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~MaRiA_
view post Posted on 3/7/2010, 18:27




Tilde ... è... è.. bellissima :lov: (e la protagonista si chiama come me :gelato: )
è la prima che scrivi? D: omg, e allora le prossime, se ne scriverai, come saranno??

.. quoto il caldo
 
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‚phantomrider
view post Posted on 3/7/2010, 18:35




Ahahahah grazie a tutte gherls :gelato:
 
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13 replies since 1/7/2010, 18:18   221 views
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