In un giorno qualunque, (contest fanfiction)

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;LadyG.
view post Posted on 10/3/2010, 18:30




Cioè, ma io amo questa fic, amo chi la scrive e amo i protaganisti :lov:
Ma soprattutto AMO gli ascensori :sbav:
Mi piace tutto questo mistero attorno a Lillo :shifty:
Però come ha detto lui "Non finisce mica qui!" devono andare fino in fondo
 
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LadyL,,
view post Posted on 10/3/2010, 22:08




Io sono sconvolta: come puoi scrivere così bene? Come?
Adesso sono offesa con te perchè ti sei presa tutta la bravura dalle madri e a me non hai lasciato niente ç___ç
 
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.miele ArwwwH
view post Posted on 11/3/2010, 21:35




4.


Era sera. Erano passate diverse ore da quel che era accaduto in ascensore. Lo stomaco era chiuso, quindi saltai il pranzo. Ero rimasto tutto il tempo nella mia stanza a contemplare il soffitto, a scandagliare i miei pensieri e le mie emozioni, a cercare di capire cosa fare, a cercare di capire se era stato solo un colpo di testa di quel minuto. Non riuscii a pensare ad altro, nella mia mente solo lui. I suoi occhi limpidi.
Sbuffai e mi girai verso il balcone. Il cielo era ancora nuvoloso, la pioggia scendeva forte e prepotente, i fulmini continuavano a cadere, spasmodici. Quelle condizioni meteorologiche non mi erano d’aiuto. Tutto quel grigio, tutti quei colori scuri mi alteravano l’umore, ma il pensiero era sempre quello, fisso in testa. Non accennava a cambiare. Cambiava la forma, la modalità, ma era lui. Era lui, sempre lui. In continuazione. Sempre, incessantemente. La voglia di stringerlo tra le mie braccia e baciarlo ancora, la voglia di buttarlo nel letto e farlo mio, la voglia di parlargli si susseguivano. Non sapevo più cosa volevo realmente da lui. Era solo un qualcosa di fisico? O era anche qualcosa che andava oltre alla chimica dell’uomo? Non arrivai a nessuna conclusione quella sera. Anzi, ad una arrivai: dovevo vederlo. Vederlo in quell’istante, in quel momento preciso. Dovevo sentire la sua voce. Così melodiosa. Dovevo averlo tra le mie mani, dovevo capire che fosse reale.
Presi il cellulare e lo chiamai.
Tu. Tu. Tu. Tu…
« Pronto?»
In quell’istante esatto me ne pentii. Non sapevo che dirgli. Cosa gli avrei detto per giustificare la mia chiamata? Volevo sentire la tua voce? No, non potevo. O meglio, non ne avevo il coraggio di dirglielo. I secondi scorrevano, il silenzio che si faceva sempre più opprimente.
« S-sono io…»
« Mi aspettavo che tu chiamassi prima…»
« … A-anche io avrei voluto chiamare prima. Ma non ne avevo il coraggio.»
« Coraggio?»
« Sì, coraggio.»
Sì, il mio coraggio pressoché inesistente. Perché mi mancava il coraggio di parlargli delle sensazioni che avevo provato sull’ascensore con quel bacio? Perché mi mancava il coraggio di dirgli che ogni volta che mi guardava una scossa mi attraversava la schiena? Perché non cogliere l’occasione di non avere i suoi occhi puntati addosso che mi scombussolavano e mi confondevano? Dovevo cogliere l’attimo.
« Mi mancava il coraggio di chiamarti e dirti che era solo per ascoltare la tua voce. Mi mancava il coraggio perché mi destabilizzi ogni volta che mi guardi. Avevo paura di sentirmi dire che sono pazzo a provare certe emozioni nei tuoi confronti. Tu. Che ti ho conosciuto solo stamattina e che già mi disorienti.»
Feci una lunga pausa, aspettando e sperando che non riattaccasse dicendomi che ero pazzo o che per lui era solo un gioco. Avevo paura che fosse tutta un’illusione. Mi sentivo un cretino. L’avevo conosciuto quella mattina e già provavo dei forti sentimenti nei suoi confronti.
« Vieni da me, stanza 304. Ti aspetto.»
Chiuse la chiamata. Cosa voleva dire con questo? Perché non aveva risposto a ciò che gli avevo detto? Forse non mi voleva rispondere per telefono. Ma perché non dire neanche un “Tu ti sei fumato il cervello”? Sarebbe stato più semplice per lui. Rimasi a contemplare il cellulare con lo sguardo perso nel vuoto. Stavo perdendo tempo. Per quale motivo? Mi aveva chiesto di andare da lui, perché non cogliere l’occasione per vederlo ancora una volta e contemplarlo? Anche se non dicendo una parola e facendo la figura del cretino mi sarebbe bastato. Corsi fuori dalla stanza precipitandomi per le scale, se avessi aspettato l’ascensore mi sarebbero saltati i nervi.
Arrivato nel piano giusto cominciai a camminare per il corridoio in cerca della stanza giusta.
320. 319. 318. 317. 316. 315. 314. 313. 312. 311. 310. 309. 308. 307. 306. 305.
304
Eccola. Avevo il fiatone, non riuscivo quasi a respirare. Ignorando l’irregolarità del respiro bussai alla porta, cosciente del fatto che appena avrei visto i suoi lineamenti il mio cuore avrebbe fatto le bizze.
Toc. Toc. Toc. Toc.
Quattro colpi, forti ma indecisi. Attesi, teso. Non dovetti aspettare molto a lungo. Il suo viso sbucò fuori dalla porta, lo sguardo gli si illuminò subito. Mi fece spazio per entrare.
« Entra!»
Un divano dava sull’entrata rivolto verso la parete dove vi era appeso una tv. Dietro il divano il letto matrimoniale. Sul letto vi erano poggiati diversi indumenti, probabilmente li aveva usciti dalla valigia per scegliere cosa mettersi. Accanto al letto un armadio socchiuso. Mi voltai verso di lui in cerca dei suoi occhi e sperando di avere ancora quel briciolo di scintilla che mi aveva dato la forza di parlare per telefono.
« Tu. Non capisci che ciò che mi hai detto vale anche per me? Guardare i tuoi occhi, sentire la tua voce, toccare la tua pelle…»
Aveva parlato velocemente mentre si avvicinava a me e mi carezzava una guancia. Il respiro si fece più pesante. La vicinanza con il suo volto era in sopportabile. L’istinto di prenderlo e bloccarlo al muro era troppo forte.
« Secondo te esiste l’amore a prima vista?»
Una domanda semplice. Una domanda che mi ero posto pure io. Non sapevo cosa rispondergli perché non ne trovavo risposta, ma guardandolo mi convinsi che una risposta c’era.
« Sì, ce l’ho proprio qui davanti a me…»
Detto questo attirai il suo viso al mio e lo baciai, con passione crescente. Incontrollabile prendeva possesso delle mie membra.
La mia lingua che cercava avida la sua, le mani che correvano lungo le sue spalle. Lui che con le mani indagava il mio petto, lo tastava. Gli bloccai la mano a livello del cuore staccandomi per qualche secondo dalle sue labbra.
« Senti? Questo è ciò che mi provoca la tua voce, il tuo corpo, i tuoi occhi…»
Non mi fece terminare la frase. Posò un dito sulle mie labbra chiudendole.
« Taci e baciami!»
Un ordine alla quale obbedii immediatamente, senza protestare. Le mani che nuotavano nei suoi ricci trattenendolo a me. Le lingue che creavano giochi complicati tra di loro, si rincorrevano nella speranza di non lasciarsi presto, di mantenere il contatto.
Lentamente ci avvicinammo al letto, quasi involontariamente. Con una mano scaraventò i vestiti per terra e mi spinse sul letto. Cademmo assieme, senza staccarci l’un dall’altro. Le mie mani corsero ai suoi jeans, impazienti. Io ero impaziente. Volevo farlo mio, di averlo e possederlo. Qualche minuto e ci ritrovammo entrambi in boxer, lui si di me che mi baciava. Si staccò dalle mie labbra per andare al collo. Cominciò a darmi piccoli baci scendendo piano. Dal collo alle scapole, poi i pettorali, gli addominali. Si soffermò sotto l’ombelico, vicino all’elastico dei boxer. Un brivido mi fece tremare di piacere. Lo presi e ribaltando la situazione gli tolsi anche quell’ultimo indumento che inutile ci dava un freno. Lo feci mio diverse volte e così fece lui. Gemiti di piacere a stento trattenuti riecheggiavano nella stanza. In quel momento nulla ci circondava. L’unica cosa era lui. Null’altro era importante, solo lui. Solo noi. Quando fummo stanchi crollammo e ci addormentammo immediatamente. Dormimmo abbracciati. Un abbraccio che non avrei mai voluto rompere.
 
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;LadyG.
view post Posted on 11/3/2010, 21:49




Tu.
Sei.
Cioè.
Non si fa così.

*muore*
 
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Miss Lullaby
view post Posted on 11/3/2010, 21:55





Moglia come puoi?
Sesso spinto moglia
 
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LadyL,,
view post Posted on 11/3/2010, 22:35




Io sono abbastanza sconvolta per poter dire qualcosa: il capitolo, Marco che canta Almeno Tu Nell'Universo...

Sappi che sono fiera di essere tua sorella, sis ç_______ç <3
 
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view post Posted on 12/3/2010, 10:50
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sei un mostro! Mi hai....buh, fatto venire i brividi!
Bellissimo cap, bravissima tu...sei davvero davvero troppo brava. ti odio
 
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.miele ArwwwH
view post Posted on 12/3/2010, 12:41




5.


Quei giorni passarono in fretta. Cinque giorni, solo cinque giorni. Chi lo avrebbe mai detto? Sembrava che stessimo insieme da mesi, da anni. In quei cinque giorni stavamo insieme in ogni piccolo spiraglio di tempo che ci rimaneva. Parlavamo di noi stessi, ci conoscevamo meglio, facevamo l’amore, giocavamo, scherzavamo. C’erano stati anche i momenti di tensione, e i momenti di delusione. Come ad esempio quando a seconda sera venne eliminato. Quando diedero l’annuncio eravamo assieme, visto che finita l’esibizione ritornavamo in hotel. Eravamo messi nella mia stanza, abbracciati sul divano a guardare lo schermo del televisore, torturandoci le mani. Era stato un colpo non sentire i suoi nomi fra quelli che passavano. Uno ad uno. Li nominavano, ma lui no. Poi la Clerici confermò il fatto che fosse stato eliminato. Lo strinsi più forte a me per confortarlo, per infondergli forza. Gli presi la fronte e gli diedi dolcemente un bacio. Cercai di guardarlo negli occhi, ma sprofondò nel mio petto per non farsi guardare ed io semplicemente gli accarezzai i capelli aspettando che fosse lui a voler parlare. In cinque giorni mi aveva mostrato mille sfaccettature della sua personalità: sfacciato, dolce, indifeso, passionale. C’erano ancora altre mille sfaccettature che dovevo scoprire e che avrei voluto scoprire. Con lui avrei potuto passare anni senza smettere mai di scoprire qualche cosa di nuovo in lui.
« Me la giocherò domani, non è una tragedia.»
Disse solo queste parole, senza girarsi. Era rimasto deluso. Lui si meritava di stare lì dentro, quanto e se non più di me. Mi dispiaceva realmente che fosse toccato proprio a lui.
« Sai che non te la meriti l’eliminazione, vero?»
« Ovvio che lo so!»
Scoppiai a ridere. Amavo quando faceva così. Era una persona anche molto sicura e quando era convinto di una cosa andava fino in fondo credendoci.
Il giorno seguente lo seguii dalla televisione della mia camera. C’erano i duetti e lui con chi duettava? Alessandra Amoroso. I loro sguardi, le mani che si stringevano, i sorrisi. Lo stomaco mi si chiuse bloccandolo completamente. Solo ora riconosco che quella era gelosia. Gelosia per quella ragazza che poteva tenerlo per mano davanti a tutti. Gelosia per quella ragazza con cui si poteva scambiare dei sorrisi. Gelosia per quella ragazza con cui poteva fare dei duetti.
Lo aspettai sveglio per tutta la notte nella mia stanza, fino a quando scocciato non gli mandai un sms.
“Che fine hai fatto? Io vado a letto, domani è una giornata pesante.”
Non ricevetti risposta quindi cercai di dormire, ma il tentativo fu vano. Il nervosismo aumentava, non sapere cosa facesse o se stesse bene mi faceva sentire strano, irritato, irrequieto. Non dormii completamente quella notte, anche se l’indomani ci sarebbe stata la parte più importante e significativa del mio festival: il duetto con i Solis. Ero preoccupato, anzi sarei dovuto essere più preoccupato per il duetto che per altro, ma lui riempiva i miei pensieri. Era incredibile come avesse potuto plagiare la mia mente. Come se avesse fatto in modo da essere sempre al centro dei miei pensieri. L’universo non girava più attorno al sole, ma attorno a lui. In ogni dove vedevo lui. Ovunque sentivo la sua voce.
Verso le 5 del mattino, qualcuno bussò alla mia porta. Mi fiondai alla porta per andare a vedere chi fosse, per accertarmi che finalmente fosse lui.
Aprii la porta ed era lì davanti.
« Ehi…»
Lo guardai in cagnesco, cercando di fargli capire che ogni briciola del mio essere fosse arrabbiata con lui. Io in pigiama, davanti la porta della mia stanza, lui davanti a me, vestito ancora come la sera prima
« Ehm, beh… Posso entrare così parliamo?»
Non spiccicai parola e gli feci soltanto cenno di entrare. Per quanto fosse difficile potergli fare capire quanto fossi arrabbiato, ne comprese subito la gravità.
« Che hai?»
« Niente, c’ho niente. Ok?»
Mi guardo attonito. Non gli avevo mai risposto male ed il mio tono era duro.
« Perché stai facendo così? Non è vero che non hai niente.»
Mi si avvicinò cercando di prendere il mio viso tra le mani, ma mi allontanai prima che potesse poggiare le mani su di me.
« Mi vuoi parlare? Dannazione!»
« No! Non ti voglio parlare. Va bene? Vai a parlare con Alessandra tua và!»
Gli avevo quasi urlato contro e se avessi continuato probabilmente avrei anche detto cose di cui poi mi sarei pentito. Lo guardai negli occhi, il suo sguardo allibito, come se avessi parlato un’altra lingua per lui. Per rispondermi ci mise diversi secondi.
« Sei scemo? Cosa c’entra Ale?»
« Vuoi dire che non sei stato con lei fino ad ora? Eh?»
Altro silenzio, pressante.
« Non dico questo.»
« Allora cosa vuoi dire? Che non mi hai nemmeno chiamato per dirmi di non aspettarti perché te ne sei dimenticato? Che non hai risposto al messaggio perché non hai guardato il cellulare? Non dirlo, perché mi incazzerei ancora di più!»
Mi ritrovai ad urlare preso dalla collera. Probabilmente avevo esagerato con i toni, lui mi guardò corrucciato.
« Scusa…»
Presi un respiro profondo cercando di calmarmi e di poter tornare a parlare lucidamente.
« Però ancora non capisco cosa c’entri Ale?»
« Cosa c’entra Alessandra? La maniera in cui vi guardavate durante l’esibizione, tu che le prendi la mano…»
Da collera passò a dolore, dolore per quelle immagini rievocate. Tentò di nuovo di avvicinarsi a me e stavolta non tentai di fuggire, mi lasciai toccare dalle sue mani.
« Marco, io e Alessandra siamo amici. Quasi fratelli. Non ci potrebbe essere ne ora ne mai un qualcosa tra di noi. E anche se non fosse così, non ci sarebbe nulla tra di noi lo stesso. Perché io sono preso troppo da te. Sei tu che sei continuamente qui, nella mia testa. Da quando ti ho conosciuto, da quando abbiamo iniziato questo rapporto, ogni volta che canto lo faccio per te. Lo faccio pensando a te. Non c’è nessun’altra persona al mondo che in questo momento mi possa allontanare da te.»
Rimasi in silenzio ad ascoltare quelle parole che riecheggiavano nella mia testa e si imprimevano a fuoco nei miei ricordi. Una lacrima solitaria bagnò il mio viso, ma il suo percorso fu interrotto dal suo dito.
« Piangi?»
Senza rispondergli lo attirai a me e lo baciai intensamente. Quelle parole mi avevano colpito il cuore con la loro dolcezza. Ero consapevole del fatto che quelle fossero parole vere, dettate dal profondo.
Le sue labbra sulle mie e tutto sparì. Sparì la gelosia, sparì la collera. Rimase solo quel grande sentimento che mi colmava il petto e rimasero i nostri corpi, le nostre lingue che si rincorrevano e le mani che andavano a togliere i vestiti che ci separavano dal contatto a pelle nuda. Finimmo a far l’amore contro un muro, le mani che stuzzicavano la sua eccitazione, le labbra a baciargli il collo, le scapole la schiena. Ed averlo mio. Mio solo mio. Di nessun altro. Per me, solo per me. Così avrei voluto che fosse sempre. I gemiti mal celati che risuonavano nella stanza, parole dolci che colmavano le pause. Come avrei mai potuto non desiderare che tutto ciò durasse a lungo? In quei pochi giorni aveva stravolto il mio mondo. E gliene fui grato. L’avrei voluto per sempre al mio fianco.

Il giorno della finale arrivò subito. Eravamo entrambi tesi e nervosi. Ma come non esserlo? Era la finale ed entrambi eravamo arrivati a quel punto. La serata si prospettava lunga e piena di sorprese.
Ero nella mia stanza da solo, quel pomeriggio decisero di non puntarci alcun impegno per non stressarci di più. Quando bussarono alla porta fui più che sicuro che fosse lui. Aprii la porta ed eccolo in tutto il suo splendore. I capelli raccolti in una coda, un paio di jeans, una camicia a quadri scozzese e un gilet grigio fumo. Mi guardò sorridendo.
« Scusi, è lei Marco Mengoni?»
« Non saprei dirglielo, dipende da chi lo cerca.»
« Sono un suo grande fan e vorrei farmi autografare il CD.»
Estrasse una busta che conteneva il mio nuovo CD, “Re Matto”. Mi misi a ridere.
« Non saprei se posso farla entrare o meno… Può lasciare il suo nome, poi le farò sapere.»
« Scriva, Valerio Scanu…»
« Viè qua!»
Scoppiai a ridere e tirandolo verso l’interno della stanza gli lasciai un bacio a stampo. Senza darmi alcun conto si andò a buttare nel letto incrociando le braccia.
« Io voglio solo l’autografo, eh! »
Lo guardai alzando un sopracciglio ammiccante provocandolo.
« Senta Scanu, deve sapere che non rilascio autografi senza avere qualcosa in cambio…»
« Uhm… La cosa mi intriga.»
Si alzò e lentamente venne verso di me. Quando i nostri visi furono a pochi centimetri di distanza presi il suo CD mostrandoglielo.
« Voglio anche io un autografo!»
Scoppiammo a ridere all’unisono. Quando finimmo di autografare i CD ci sdraiammo sul letto abbracciati e cominciammo a coccolarci in silenzio.
« Sei teso?»
« Me sto a cagà sotto!»
« Se la cosa ti consola, pure io!»
Passammo così il pomeriggio, tra coccole e carezze, tra scherzi e risate, tra baci e sfioramenti. Prima di andarsene nella sua stanza mi prese il viso tra le mani e dopo un lungo bacio mi guardò negli occhi.
« Ti amo…»
Lo guardai sbigottito con il cuore che nel petto si gonfiava di gioia. Me l’aveva detto. Aveva detto quelle due parole tanto attese e tanto desiderate. Lo baciai con foga, colmo di felicità.
« Anche io Valè!»

Il tempo passò velocemente. Eravamo dietro le quinte dell’Ariston, tutti e due arrivati alla finalissima. Ero felice, non potevo aspettarmi di meglio. Aspettando il verdetto restammo in silenzio, i nervi tesi come corde di violino, poi ci fecero entrare. E sul palco la Clerici cominciò a dare l’annuncio.
« Il vincitore del 60° Festival della canzone italiana è…»
Una lunga pausa.
« Valerio Scanu con “Per tutte le volte che…”!»
Felice lo osservai mentre riceveva il premio, mentre alzava gli occhi al cielo e si commuoveva. Non andai ad abbracciarlo, anche se l’istinto era forte come non mai. Voglia di stringerlo e sussurrargli che ero fiero di lui. Ma le telecamere me lo impediva. Avevamo parlato spesso della questione: non potevamo farci vedere dalle persone in atteggiamenti troppo intimi. Io non ero d’accordo, perché nessuno al mondo doveva limitare il mio amore, nessuno doveva impedirmi di amare e di dimostrarlo a tutti, ma lui non voleva. Si preoccupava delle nostre carriere dicendo che sarebbe stata una mina che avrebbe mandato tutto all’aria, soprattutto perché eravamo ancora giovani e non ancora avviati alla perfezione. Rispettai la sua volontà mio malgrado ed ora mi ritrovavo a dovermi frenare.
Servizi fotografici ed interviste si susseguirono, fino alle 3 di notte, poi potemmo tornare in albergo. Da lontano lo vidi salire su una macchina che lo avrebbe portato in albergo. Quella probabilmente sarebbe stata l’ultima notte in cui potevamo stare assieme, poi sarebbe stato difficile anche vederci. Salii sull’auto del mio manager e ci avviammo. Speravo di arrivare il più presto possibile. Dovevo abbracciarlo forte, baciarlo, coccolarlo. Dovevamo festeggiare assieme la sua vittoria. Ma una strana sensazione mi attanagliava le viscere.

≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈

Avevo vinto! Il leone d’oro era mio! Ero felice, contento! Andai ad abbracciare il maestro Vessicchio, ma avrei voluto tanto abbracciare anche lui. Lui che mi aveva sostenuto quando fui eliminato, lui che si dimostrò geloso nei confronti di Alessandra, lui con cui avevo scherzato, lui con cui avevo giocato, lui con cui avevo fatto l’amore. Lui che in pochi giorni era diventato tutto per me. Potei solo guardarlo da lontano, lanciargli qualche sguardo mentre, io da una parte e lui dall’altra, venivamo intervistati. Fotografie ed interviste si susseguirono fino alle 3 del mattino. Poi ci avviammo in macchina per tornare in albergo.
Ero in macchina con il manager che mi faceva miliardi di complimenti, perché ero stato bravo, perché ero riuscito a vincere.
Poi fu tutto come un flash. La macchina che frenava all’improvviso, le ruote che stridevano, le imprecazioni del manager che stava guidando. E poi uno schianto. E fu tutto buio.
 
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view post Posted on 12/3/2010, 12:52
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No.
Sappi che non commenterò.
Cioè, ti dico che sei brava, che scrivi bene, che loro due sono bellissimi e wubbosissimi ma NO, non commenterò la parte finale.
Sappi che ti odio da morire e.........ti odio, basta. ç_ç
*la fa finita*
 
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,pochêtta.
view post Posted on 12/3/2010, 13:18




Quoto con Dia.
Anyway è bellerrima ._.
Brava brava brava *-*
 
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Miss Lullaby
view post Posted on 12/3/2010, 13:53




Moglia
Cioè sei velocissima a scrivere! Non riesco a starti dietro

Io lo so che tutto ciò è tristerrimo però tu sei brava
Io appoggio mia moglia. Poi per l'angst ho sempre avuto una passione particolare
 
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;LadyG.
view post Posted on 12/3/2010, 14:30




:gosp_
TI ODIO .
Sei un mostro Cosa hai fatto?
Lillo
 
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LadyL,,
view post Posted on 12/3/2010, 15:51




COSA DIAMINE HAI SCRITTO?! COSA?!
*fa un respiro profondo*
Ok, sono calma.
Dovrei odiarti, ma non ci riesco. ç____ç
Scrivi così bene che ti perdonerò ogni cosa, sallo.
 
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*Ary Mengoni-Fainello*
view post Posted on 12/3/2010, 21:09




OMMIODDIO


tutto ciò è assurdo


ma non posso farti altro che complimenti perchè sei bravissima a scrivere.

CAVOLI MA STA STORIA MI FA PIANGERE! MANNAGGIA :(
 
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.miele ArwwwH
view post Posted on 13/3/2010, 14:42




6.


Camminavo su e giù per la camera nervoso. La strana sensazione che non voleva sparire. Lo aspettavo. Era passata mezz’ora da quando eravamo arrivati in albergo, ma di lui non ce n’era ancora traccia. Ero preoccupato, mi veniva da sbattere la testa al muro. Il tempo passava e non avevo ancora sue notizie. Cercai di chiamarlo, ma attaccava la segreteria telefonica.
Si erano già fatte le sei del mattino, non avevo chiuso occhio. Mi torturavo le mani dal forte nervosismo. Non sapevo che fare oltre a girare per tutta la stanza, così presi il telecomando ed accesi la televisione. C’era un telegiornale. Non lo seguii attentamente, il pensiero era fisso solo su di lui e su dove potesse essere finito. E fu in quel secondo che il mondo mi crollò addosso.
« Incidente stradale a Sanremo. Coinvolto il neo vincitore del festival, Valerio Scanu, assieme al manager. L’uomo è morto sul colpo, il giovane cantante è stato ricoverato in prognosi riservata, mentre i passeggeri della macchina con cui è avvenuto lo scontro sono leggermente feriti.»
No. No. No. No.
Non volevo crederci! Non poteva essere, dovevano essersi sbagliati.
Uscii di corsa dalla stanza, dovevo scoprire in quale ospedale era stato ricoverato. Dovevo vederlo, dovevo vedere come stava. Corsi fino alla hall chiedendo alla reception se loro sapevano qualcosa. Non sapevo che fare, chi chiamare, a chi chiedere. Mi sentivo perso e disperato. Mi poggiai ad un muro scivolando e sedendomi, le mani tra i capelli le lacrime che continuavano a scivolare via.
Dovevo fare qualcosa, dovevo muovermi. Decisi che a costo di girarmi tutti gli ospedali di Sanremo e dintorni dovevo trovarlo. Non mi spaventava l’idea di girare senza meta per un tempo indefinito. Tutto ciò che mi interessava era vederlo, stringerlo a me e capire che tutto era un grande equivoco.
Uscii dall’hotel e cercai di prendere un taxi per andare al primo ospedale. Arrivai, ma fu un buco nell’acqua. Così come il secondo. Mentre mi avviai all’ospedale seguente la notizia che più temevo passò alla radio.
« Il cantante sardo diciannovenne non ha superato la mattinata.»
No! No! No! No!
« Si fermi!»
Urlai al taxista dandogli dei soldi a caso, senza contarli e scesi dal taxi. Preso dalla disperazione cominciai a tirare calci a qualsiasi oggetto mi capitasse sott’occhio. Non mi importava delle persone che mi guardavano come se fossi matto. Lo ero. Ero folle. Folle di dolore. La persona che avevo appena trovato, che avevo appena iniziato ad amare non c’era più. Se n’era andata per sempre. Cosa avrei potuto fare se non sfogare tutto il mio dolore calciando e tirando pugni alla qualsiasi? Cosa avrei dovuto fare? Non ci volevo credere. Non volevo. Non dovevo. Non potevo. Non potevo concepire il fatto che lui non ci fosse più. Era un qualcosa che non avevo mai contemplato, che non avrei mai voluto contemplare. Mi buttai di peso per terra a sedere, il viso inondato di lacrime, le orecchie che non udivano alcun suono, il respiro affannato, il cuore che aumentava i battiti. Non riuscii più a controllare il mio corpo, non ne avevo la percezione. Mi sentivo un estraneo in casa di altri. Tremavo, lo stomaco rigido come acciaio. Strinsi i pugni e cercai di regolare il respiro. Fu un tentativo vano. Non riuscivo più a controllarmi. Finii sdraiato per terra, a stento compresi che della gente aveva cominciato a circondarmi.
Poi fu tutto come un film accelerato. L’ambulanza che arrivava, i dottori che mi visitavano e le gocce di calmante che mi vennero somministrate. Non appena fui calmo e nel pieno delle mie capacità mi dissero che avevo avuto un attacco di panico e che mi avrebbero fatto uscire in qualsiasi momento io avrei voluto. Restai su quel lettino, a scrutare ogni macchia del soffitto. Il dolore ricominciò a farsi strada in me. Chiudendo gli occhi mi lasciai andare ad un pianto sommesso e disperato.

Passarono due giorni, la disperazione per la sua perdita ancora viva nei miei pensieri. Era il giorno dei funerali. Si sarebbero tenuti alla Maddalena, il suo paese natio. Non ero sicuro di riuscire ad affrontare quel momento. L’immagine del giorno in cui lo vidi per la prima volta era ancora vivida nella mia mente. Non era passato molto e questo peggiorava il mio stato d’animo. Con lui avrei voluto dividere passato, presente e futuro. Per lui sarei stato disposto a mollare tutto, chiudere baracca e fare ciò che diceva lui. Ero pronto a passare gran parte della mia vita con lui. In quei pochi giorni era successo di tutto, tutto quello che accade in anni ed anni di rapporto noi l’avevamo vissuto in qualche giorno.
Arrivato davanti la chiesa vidi che c’era una grande confusione, erano tutti lì per dirgli addio. Lui, quel ragazzetto di 19 anni, con una voce spettacolare. Lui che era un piccolo genio, che faceva innamorare tutte le ragazzine. Lui che sapeva prenderti in giro senza fartelo capire. Lui che mi sarebbe mancato da morire. Lui che sarebbe mancato un po’ pure a loro.
Per fortuna riuscii ad entrare, dentro era peggio che fuori. Piano piano riuscii ad arrivare fino al punto in cui il feretro era visibile. Lo osservai e un nuovo pianto cominciò a farsi strada sul mio viso. Credevo di aver finito le scorte di lacrime in quei due giorni passati in quella stanza d’albergo sdraiato sul letto in posizione fetale e le braccia che cingevano le gambe a ripensare a noi. A ciò che era stato, a ciò che non avrei più avuto.
La funzione cominciò. Fu lunga e dolorosa. Le lacrime non smisero per tutto il tempo di rigare il mio volto, fortunatamente celato dai miei soliti occhiali da sole grandi quanto la mia faccia. Non riuscivo a sopportare tutte quelle persone accanto a me. Avevo voglia di scappare, rinchiudermi ancora in una stanza a farmi del male ripensando a lui. Ma non potevo farlo, non potevo andarmene senza avergli detto addio.
Per quanto avessi cercato di resistere, non riuscii a sopportarlo. Mentre scrutavo le persone della prima fila, i suoi parenti, incrociai un viso. Così diverso da lui. Ma gli occhi. Quegli occhi! Erano i suoi. Senza attendere oltre mi girai ed uscii in cerca di aria. Il respiro ancora una volta si ribellava e diventava irregolare.
Una mano si poggiò sulla mia spalla e mi voltai. Era quel ragazzino. Alex, suo fratello. Gli occhi gonfi e rossi dal pianto, l’espressione dolorante. Guardarlo era una fitta allo stomaco.
« Tu sei Marco, vero?»
Rimasi shoccato. Molti ormai sapevano il mio nome, ma mi sorprendeva il fatto che lui fosse venuto a cercare me.
« Vedi, mio fratello nelle sue ultime mail mi ha parlato di te.»
Si guardò le mani, che torturava nervoso. In faccia gli si leggeva l’imbarazzo che gli provocava quella conversazione. Ma quel che mi rimase impresso fu quella frase “mi ha parlato di te”. Sapevo che parlasse di tutto con il fratello, ma non immaginavo che avesse parlato anche del nostro rapporto assieme a lui.
« Ti ha parlato di me?»
« Sì. Sai, ti amava davvero tanto…»
Alzai lo sguardo cercando di trattenere la nuova ondata di lacrime. Alex si mise una mano in tasca e ne estrasse qualcosa. Riconobbi subito la fede che lui portava sempre, quella di suo nonno.
« Voglio che questa la tenga tu. So quanto lui tenesse a te, mi sembra giusto che questa la debba portare con te. »
Presi in una mano il cerchio luccicante. Di sopra gli cadde una mia lacrima e, stringendola in una mano, la portai al petto.
« Grazie…»
« Non ringraziarmi, sono sicuro che è questo che lui vuole. Da come mi parlava di te sembrava che vi amaste da anni… Sono felice che almeno gli ultimi suoi giorni di vita siano stati pieni d’amore. Grazie per esserti preso cura di lui in quei giorni.»
Detto questo se ne andò, lasciandomi lì, attonito, a guardare la sua figura che si allontanava.
Da quel giorno la fede rimase per sempre al mio dito.
***

Asciugo le lacrime con stizza rigirando la fede nel dito. Così, mentre riordino i pensieri, comincio a scrivere. A scrivere quella lettera che gli devo. Quella lettera per spiegargli. Non tralascio nemmeno il più minimo particolare.
E così termino quella lettera:
“Non so se ora capisci ciò che provo tuttora dentro di me. Per quanto siano passati ventitre anni da quel giorno, non riesco a smettere di pensare a lui.
Adesso hai 19 anni, la stessa età che aveva lui quando perse la vita. Ti guardo e cerco di trovare in te un po’ di lui. Ed è anche per questo che decisi di metterti quel nome. Valerio.
Non volermene se te ne parlo solo ora. Mi hai sempre chiesto il motivo di quel nome, ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo.
So cosa tu ora possa pensare: non amo tua madre. Sì, la amo. Ma l’amore che provo per lei non è grande quanto quello che provavo e provo tuttora per lui. Probabilmente prima o poi racconterò questa storia anche a lei. Sono certo che mi capirà. Come non potrebbe farlo? Lei era una sua grande amica, sai? La conobbi 3 anni dopo la sua morte, durante un concerto in suo onore.
Ti chiederai a che pro io ti abbia raccontato questa storia. Voglio che tu sappia che non devi porre mai alcun freno ai tuoi sentimenti, soprattutto all’amore. Non stare a guardare il sesso della persona che ti interessa. Non stare a guardarne l’età, il colore, il ceto sociale. Ama. Non devi fare altro. Della tua vita devi fare ciò che vuoi, non lasciare che sia no gli altri a decidere per te. Vai avanti per la tua strada e non badare a loro.

Perché tu sarai sempre il mio solo destino posso soltanto amarti senza mai nessun freno.
Il tuo papà.”


Bagno il foglio con varie lacrime che solcano il mio volto inesorabili. Spero che quando leggerà questa mia lettera potrà capire il messaggio che ho cercato di dargli.
Quella canzone. Quanto l’ho amata, quanto l’amo. È la mia canzone preferita, la canzone che mi parla di lui.
“Forse serve un po’ di tempo
vedo, spero, credo, sento
voglio essere importante per te
e non per la gente

Perché tu sarai sempre il mio solo destino
Posso soltanto amarti
Senza mai nessun freno
.
Anche se non respiro e non mi vedo più
In un giorno qualunque dove non ci sei tu.”


Non lo dimenticherò mai. Mai dimenticherò le sue labbra. Mai dimenticherò il suo volto. Mai dimenticherò l’amore che mi diede. Mai dimenticherò l’amore che provai per lui e che continuo a provare.
Amore senza freno. Amore senza fine.
Amore vero.
 
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