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Parlammo e parlammo, fino a quando una persona non ci interruppe. Era l’uomo della reception che reclamava la nostra attenzione schiarendosi la gola. « Scusate, mi hanno avvisato che le interviste previste per oggi sono state tutte annullate per motivi meteorologici.» Guardammo dalla porta che dava sulla strada e davanti a noi si presentò una scena da diluvio universale. La pioggia che cadeva scrosciante, i fulmini che illuminavano ad intermittenza il cielo e i tuoni che li seguivano poco dopo. Guardai l’orologio e vidi che erano passate tre ore da quando ero sceso in hall. Tre ore a parlare con lui. Tre ore a scherzare con lui. Tre ore condivise con lui. Lo guardai con la coda dell’occhio, tentando di non farmi notare. Aveva un’espressione concentrata, guardava fuori, ma era uno sguardo perso nel vuoto. Stava pensando. Ma a cosa? Cosa poteva pensare in quel momento? Avevo voglia di saperlo, di scoprire ciò che gli passava per la testa, e se fossero stati problemi aiutarlo. Come facevo? Come facevo a pensare queste cose di una persona conosciuta qualche ora prima? Come facevo a desiderare di sollevarlo da tutti i suoi problemi taciuti? Come facevo a desiderare che mi confidasse tutto? Come facevo a desiderare di conoscere ogni minimo pensiero che gli passasse per la testa? Come facevo a desiderare che quei suoi occhi si posassero suoi miei in continuazione? Come facevo a desiderare quelle labbra carnose? Come facevo a desiderare il suo copro? Domande, domande, domande. Domande senza risposta, domande che sarebbero rimaste sospese per diverso tempo, o forse per sempre. Non avevo il coraggio di cercare una risposta. Forse non c’era o forse sì. Indagare sui miei sentimenti mi era sempre risultato difficile. Mentre tutti questi pensieri si avvicendavano nella mia mente smisi di guardarlo. La sua immagine amplificava ancora di più quelle voglie e quei desideri che in quel momento imperversavano nel mio corpo. « Visto che non devo aspettare più nessun’intervista me ne salgo in camera. Grazie per la chiacchierata.» Così me ne andai, mi avviai verso l’ascensore senza attendere risposta. Se mi avesse detto “resta” sarei restato. Avevo bisogno di pensare a mente lucida, senza nessuno attorno a me. Dovevo schiarirmi le idee e capire perché tutte quelle emozioni nascevano in me proprio con lui in quel momento. Non mi era mai capitato di provare quelle sensazioni nei confronti di nessuno, né uomo né donna. Non riuscivo a capire, a comprendere perché proprio lui. Entrai nell’ascensore e quando mi voltai per pigiare il tasto del piano mi accorsi che lui era lì, mi aveva seguito. Lo guardai negli occhi, con la mano ancora sospesa in aria vicino alla tastiera. I suoi occhi nei miei. La grande voglia di prenderlo e attirarlo a me. Fissò i suoi occhi nei miei. Senza lasciarli andare premette lui per me il pulsante. L’ascensore si avviò. Solo il suo rumore colmava il nostro silenzio, gravido di tanti significati. In quel momento, guardandolo, capii che condivideva ciò che avevo provato fino a quel momento. Con un forte rumore l’ascensore si bloccò e le luci si spensero, come se il destino si prendesse gioco di noi e ci invitasse ad appagare le nostre voglie, ad esprimere i nostri desideri legati tra di loro. I miei con i suoi. Coincidenti e necessari. Fu un attimo e le nostre labbra si incontrarono, le nostre lingue a giocare tra di loro, colme di desiderio, avare. Le mani che correvano sul suo corpo, dalla schiena alle spalle, fino a fissarsi nei ricci a trattenergli la testa, a spingergli il volto sul mio. Giocherellando con il suo piercing alla lingua. Le sue mani sui miei fianchi correvano lungo la spina dorsale fino a fermarsi sul collo, carezzandolo. Così come ce l’aveva donato, il destino ci tolse quel momento magico ed intriso di passione. L’ascensore ripartì all’improvviso con uno strattone che ci sballottò da una parete all’altra. Con poca volontà ci staccammo, cercando di ricomporci. « Io, cioè…» Le porte si aprirono e il corridoi del piano si presentò ai nostri occhi, senza lasciarci il tempo di poter parlare, delle persone salirono sull’ascensore. Feci per uscire, ancora in tralice per la forza della passione che mi aveva posseduto fino a pochi istanti prima, ma una mano mi bloccò prima che le porte si chiudessero. « Dammi il tuo cellulare» Non capendo cosa volesse fare estrassi il cellulare dalla tasca e glielo porsi. Digitò velocemente qualche tasto e me lo restituì. « Ciao…» Risalì sull’ascensore e le porte si chiusero, privandomi crudelmente della sua immagine. Guardai immediatamente il display del cellulare e c’era un messaggio aperto con un numero di telefono seguito da una frase. “ Chiamami. Non finisce mica qui!”
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