"Aprite la porta ai giovani di talento liberi di sbagliare daremo il massimo", firenze.repubblica.it

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@deeperinside.
view post Posted on 23/11/2011, 17:17




Una folla lo attende davanti al portone fin dalla tarda mattinata. Sono tutti per lui, Marco Mengoni, ospite di Repubblica per incontrare dieci lettori (Gaia Barbieri, Caterina Farneti, Elisa Lemma, Milena Maffei, Cristina Nguyen, Annalisa Niccolini, Elisa Paladino, Elena Parrino, Francesco Rainero, Giuseppe Stravino) in vista del concerto al Mandela Forum, il 14 dicembre. In realtà ne sono intervenuti molti di più: da Torino, da Brescia, teen ager accompagnati dai genitori. Tutti in adorazione del loro idolo che, durante l´incontro, si trastulla con un ovetto di cioccolata. E che ha voglia, molta voglia, di raccontarsi.

Il suo precedente tour era uno spettacolo complesso. Quello che sta per iniziare?
«Lo sarà ancora di più altrimenti sarebbe stato un passo indietro. La cosa di cui sono molto fiero è che utilizzeremo giovani artisti come ballerini, per i costumi, per le proiezioni: ospiteremo ragazzi che escono da scuole d´arte ed accademie. Credo che sia giusto aprire porta a giovani che hanno talento e non vengono sostenuti. Certo, creare uno spettacolo con artisti non professionisti implica il rischio di fare più errori. Ma almeno c´è carne e sangue. Per quanto mi riguarda, troppo spesso ci si dimentica che io ho fatto un sacco di cose prima di X Factor. Sembra che sia partito da zero con quella trasmissione, ma non è così: prima ci sono state feste di piazza, concerti nei locali, nelle birrerie. Ho fatto un po’ di tutto: a 17 anni sono andato a vivere
da solo a Roma, studiavo e lavoravo».

Vuole fare concorrenza ai talent show televisivi, da cui proviene?
«Più che altro critico lo Stato, che non aiuta i giovani talenti. E denuncio l´arretratezza del sistema dello spettacolo in Italia. Non si sa tirar fuori da un artista quello che ha da dire. Ormai si fanno dischi come se fossero biscotti, o meglio, fustini del detersivo: il progetto che costa meno è il migliore. Il problema della crisi del mercato discografico non dipende solo dalla pirateria su web. Si vendono meno dischi anche perché gli artisti hanno poca libertà di esprimersi. Io sono fortunato perché ho pubblico e più gradimento hai, più hai potere verso la casa discografica di far vincere le tue idee. E´ una cosa squallida, lo so, ma questa è la situazione».

Anche lei è d’accordo con chi sostiene che, oggi, il tour conta più del cd, perché ormai i dischi non si vendono più?
«Se calcoliamo che fino a vent’anni fa il disco d’oro era un milione di copie, ora è 35 mila, si capisce quanto stiamo regredendo a vista d’occhio. E’ importante il live perché è veramente uno scambio e comunque puoi mettere molto di più rispetto al disco perché mutevole per definizione. E’ come un carrozzone che, viaggiando, accumula esperienze, pensieri, concetti di città in città. Il live è sempre in evoluzione, ha molto più tempo per essere manipolato rispetto al disco. Per quanto riguarda Solo 2.0, appena uscito volevo già cambiarlo tutto».

Per questo, dai primi video «rubati» su Youtube, nel nuovo concerto molti pezzi dell’ultimo cd risultano già diversi rispetto alla registrazione.
«Esatto, ci abbiamo voluto rimettere le mani. Mentre per chi fruisce un disco l’uscita è la nascita vera dell’album, per noi che lo abbiamo realizzato è la morte. Per chi lo fa, un disco quando esce è già vecchio, perché ci lavori da un anno sopra e senti sempre gli stessi pezzi che hanno poi la possibilità di maturare in testa e nella pancia. E poi, alla base di questa voglia di rimaneggiare, c’è proprio voglia di cambiare».

Ha dichiarato che il suo nuovo album, Solo 2.0, è nato da una depressione.
«Non potendo vivere quella post partum, ho provato la depressione post tour. Ne avevo sempre sentito parlare, e adesso l’ho toccata con mano. Ho fatto tantissime date, per sei mesi davanti a me ho avuto migliaia di volti e, tornato tra le pareti di casa, è stato come se quell´ambiente non mi appartenesse più. Ti senti solo, il vuoto dentro, e dici mo´ che faccio?».

Cosa le mancava di più?
«Hai il bisogno energia, perché un concerto non è solo stare sul palco ma è ricevere la forza di chi è lì per te. Senza dubbio è stato un periodo di svuotamento dalla musica, una fase che credo sia necessaria per poi creare cose nuove in cui riversare nuove emozioni. Il tour è un percorso di crescita veloce, ti fa capire moltissime cose che lì per lì non sai bene come trattenere, ma poi con il tempo riesci a filtrarle e a collocare nella tua vita. Non è che ti cambi dentro. Ma la vita te la cambia, quello sì. Te la sconvolge, te la scombussola e dopo ti lascia tanti ricordi ma anche il vuoto».

La solitudine: un male necessario o un valore aggiunto?
«Un valore, senza dubbio, perché ti aiuta a crescere. Prima era una condizione da cui volevo ma non potevo scappare, ora la cerco perché ne ho bisogno per capirmi, farmi i complimenti o criticarmi. Non è narcisismo: chiunque salga sul palco deve essere per forza egocentrico, sennò non dà niente. E´ su altri livelli che la mia insicurezza esplode: so affrontare 3mila persone in un palasport e poi non riesco a chiamare un taxi. Però questo è il mio habitato, il mio bioparco, e ci sto bene».

La solitudine è un segno di maturità?
«Col tempo, impari a conviverci. Nell´adolescenza, dove tutto è un po´ in penombra, ci fai a botte. la gestisci. L´età ti insegna ad affrontare molto ma, grazie al cielo, non tutto: io sono convinto che più si diventa grandi e più si regredisce perché apprendi tante cose e ti limiti. Da piccolo sei molto più libero, più aperto ad accettare emozioni».

Cos´è per lei la voce?
«Un mezzo. Io odio la musica come dipendenza da tecnicismo assoluto. Non consiglio di seguire corsi di canto, che ti insegnano a mantenere bene le tue corde vocali ma non a cantare: come quando ti dicono che il tuo fisico, per essere in forma, deve stare a ditea. Hai stonato? Sei calante? Chi se ne frega! Io molte volte lo faccio anche apposta: se ti metti dentro schemi o ti accademizzi troppo non trasmetti più niente. Per questo io ho mollato tutti i corsi musicali che frequentavo: gli insegnanti di canto ti insegnano persino a fare dei glissando sulla parola “amore”, ma la tua creatività dove va a finire?».

Lei crede dunque nel valore estetico dell´errore.
«L´errore è verità e la verità paga sempre, è giusto che si facciano errori nell´arte come nella vita, perché poi si impara da che parte andare, cosa scegliere. I miei genitori mi hanno lasciato abbastanza libero e io sono contento di come sono. Non sono certo diventato un assassino. Certo, in una canzone non devi stonare dall’inizio alla fine, ma qualche macchia ci sta bene».

Nelle sue canzoni utilizza l´ironia per trattare temi forti come la guerra.
«È il modo più bello di descrivere una cosa troppo grande. Non sono maturo a tal punto da scrivere un testo impegnato, farei solo cattiva informazione. E ce n´è già abbastanza. I cantastorie raccontano la società che vivono, tutte le emozioni e le sensazioni che ci circondano. Ma quando uno è artisticamente ancora giovane, come me, credo che debba mettere tutto questo su piani diversi. Uranio 22 tratta il tema bellico con leggerezza e sarcasmo, è una presa in giro ma - proprio per questo - anche un atto di ribellione nei confronti delle oltre 40 guerre in atto e la devastazione di questi giovani che vengono mandati al macello per motivi economici. Chi di loro sopravvive, rimane segnato a vita e cosa ha come compenso? Una medaglia d’uranio».

In Come ti senti invece ironizza sui suoi rapporti con la stampa.
«In quella canzone ho voluto sorridere sulla solitudine che uno prova quando si trova di fronte persone che non lo stanno nemmeno ad ascoltare e fanno domande che non hanno senso. In quelle occasioni ti senti davvero solo, pensi chi me lo fa fare, come quando ti presenti alle discografiche con il tuo bagaglio di canzoni e senti risposte del tipo “canta troppo bene”, “è troppo sicuro di sé”, “i capelli non vanno bene”, “gli occhiali”, “dovrebbe fare canzoni più orecchiabili tipo quella dello spot del 1240”».

Ha cantato con Zero, con Dalla. Imparando cosa?
«Una cosa orribile tutta italiana è che si fanno tributi soltanto a persone morte. Dovremmo imparare dai cugini americani a omaggiare anche quei grandi artisti che hanno ancora tanto da insegnare: mi è servito tantissimo anche solo guardare la gioia per la musica che hanno negli occhi. Capisci che sei una formica ti devi mettere sotto e sudare».

Non le piacerebbe inserire dal vivo qualche pezzo dei Queen?
«Appena ho cominciato a fare questo mestiere, ho detto “non canterò mai canzoni dei miei miti: gli intoccabili, in quanto tali, non si possono appunto toccare”. Poi a X factor mi hanno fatto interpretare di tutto, ma con i Queen non mi sono cimentato, anche per un timore reverenziale nei confronti di Mercury».

I ricordi più belli di questi primi anni di successo?
«Sono speranzoso che debba avvenire ancora qualcosa da ricordare. Senza dubbio il miglior ricordo, sino ad oggi, è aver deciso di seguire questa strada che, vada come vada, è stata un’esperienza di crescita incredibile, amplificatissima. Du questo posso davvero ringraziare l’essere cantante. Poi ci siete voi, i fan, che mi date tanto anche se vi appostate ovunque, vi ritrovo anche dietro il portone di casa. Però negli ultimi tempi siete più calmi, e questo mi piace. Però, che sia chiaro: di casino al concerto ce ne deve essere, e molto».

C´è una canzone che vorrebbe avessero scritto per lei?
«C´è tempo di Ivano Fossati: l´ho ascoltata 40 volte di seguito e ne ho piante 45. Qualcuno dica a Fossati che mi scriva una canzone. E che non si autoprepensioni. C´è ancora bisogno di lui».

Fonte: http://firenze.repubblica.it/cronaca/2011/...ssimo-25466701/
 
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*Daniela (:*
view post Posted on 23/11/2011, 18:18




Grazie mille (:
 
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gabriella7
view post Posted on 24/11/2011, 14:15




grazie
 
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2 replies since 23/11/2011, 17:17   72 views
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