Allora baldi giovani. è un capitolo solo, però è LUNGO.
Spero vada bene! Vi amoh.
ORA LEGGETE Sinners
25 - Picture _
“Dov’è?” sento una voce preoccupata, e so anche di chi è. Non voglio che nessuno mi disturbi, per favore. Capitemi.
“È nello studio. Non esce da due giorni se non per andare in bagno. Non mangia, non parla, non fa niente.”
“Sì, immaginavo. Vado a vedere cosa posso fare.” La porta di legno risuona potente sotto i colpi di Bea, e io rimango sdraiata a terra, senza neanche rispondere. “Avanti, so tutto! Marco mi ha detto ogni cosa!” Dubito che ti abbia detto tutto Bea, ne sono certa. Perché non lo volete capire che io sono qui perché non voglio vedere nessuno? “Dora, ti conosco troppo bene! Apri questa cazzo di porta e finiamola subito con ‘sta scenata. Dora!” bussa ancora, stavolta più velocemente. “Dora per Diana! Non puoi lasciarti morire di fame! Fammi entrare almeno ti ammazzo io e soffri di meno!” è una specie di silenzioso grido disperato. La voce di Bea è incrinata dal nervosismo, e io affondo la testa più a fondo nelle ginocchia, mentre la pioggia continua a scrosciare sui vetri delle finestre.
“Bea, prometti che non dirai nulla.” Dico in un soffio, mentre un moto di inaspettata voglia di parlare si accende dentro la mia testa. Fa troppo caldo qui dentro.
“Non dirò nulla. Ora apri che si fredda la pizza.” Quando la porta si spalanca spunta il volto preoccupato di Beatrice. Stringe tra le mani un sacchetto della spesa, dove risuona il metallico rumore delle lattine di birra e il classico profumo di pizza appena sfornata. Sulla testa porta un cappello azzurro, portato leggermente storto, e una lunga sciarpa le cinge il collo lasciando intravedere una poderosa pelle d’oca. Lo studio è riscaldato da due stufette e l’aria, seppur viziata, è sorprendentemente calda. Entra piano, chiudendoli la porta alle spalle e lasciando le mie sorelle di fuori. Beatrice si spoglia piano, buttando tutta la roba per terra.
Ora probabilmente sarebbe il momento degli abbracci e delle consolazioni assolutamente dolci da parte sua, ma l’unica cosa che fa è girarsi verso di me e assestarmi uno splendido pugno in piena spalla.
“Grazie.” Dico sincera massaggiandomi con la mano sinistra.
“Figurati.” Risponde altezzosa sedendosi a terra e tirando fuori dalla busta le birre e la pizza ai peperoni che comincia a mangiare con noncuranza. Io incrocio le braccia al petto e la fisso confusa.
“Embé?” sbuffo tamponandomi gli occhi gonfi.
“Embé che?” risponde lei stizzita con la bocca piena di cibo.
“Non dici niente?”
“No, preferisco pranzare. Con lo stomaco pieno sono più cattiva e adesso ho bisogno di tutta la mia stronzaggine concentrata in un solo punto. Senza contare che stavo morendo di fame.” E addenta ancora la pizza porgendomene con la mano libera un pezzo con le patate. Io accetto di malgrado, sedendomi a gambe incrociate sul parquet che mi ha fatto da letto per due notti intere. Bea evita il mio sguardo, e continua a guardarsi intorno concentrata. Fissa soprattutto il quadro coperto da un lungo drappo di stoffa posizionato sul cavalletto, e sembra che la sua attenzione sia volto solo a quello. Quando la pizza finisce e le birre sono a metà del loro originale contenuto lei -finalmente- riporta la sua attenzione su di me. È una cosa assurda. Beatrice nella sua vita ha sviluppato una dote spiccata nell’uso della parola, e devo dire che quando non parla è decisamente spettrale.
“Abbiamo finito.” Annuncio io pulendomi le labbra con un tovagliolo ripescato dall’armadio.
“Lo so.” E sorride storta, e quello vale più di mille accuse. Ammicca verso il quadro coperto e poi si alza. “Cosa c’è la sotto?” io sospiro passandomi una mano sul volto, e la invito a sedersi ancora ma lei non accenna ad ubbidirmi.
“Il quadro lo potrai vedere solo dopo aver ascoltato tutta la storia senza distorsioni, dalla mia bocca, e senza nessun commento da parte tua. Chiaro?”
“Limpido, trasparente...” E con un groppo alla gola le racconto ogni cosa, per filo e per segno, senza omettere nessun particolare. Nessuno. “Oh... beh. Marco la parte del bacio non l’aveva detta.”
“Immaginavo.” Borbotto a mezza bocca mentre rivolgo lo sguardo verso il quadro. “Senti. Non ti far venire strane idee. Sì, ho dipinto. Sì, è il mio primo quadro in un anno e mezzo. Però non...”
“’Non’ cosa?”
“Vai a vedere.” Storce la bocca mentre si alza, e sembra titubare un poco davanti la tela. Passa le mani con un rispetto inaudito sopra il drappo e poi, con una lentezza estenuante, tira via la stoffa. Nei suoi occhi si accende una luce improvvisa e quando si gira a guardarmi, tenendo ancora tra le mani la stoffa, mi dice le parole più schifosamente vere che potrebbe mai pronunciare.
“Dora mia... l’hai combinata talmente grossa che stavolta sono cazzi tuoi.”
“Diciamo che ultimamente la tua faccia qui si è vista troppo poco spesso Dora.” Luca continua a farmi una ramanzina che non finisce più, e sto pippone tira avanti da circa dieci minuti.
“Avanti capo. Tanto tra meno di due mesetti avrai le mie dimissioni e non ti starò più in mezzo alla palle.” L’uomo di fronte a me si mette seduto più comodo sulla poltrona e sospira rassegnato. “Non dire che ti dispiace.”
“Come potrei mai dire una cosa così falsa.” Mi risponde di rimando giocherellando con la penna. Oh beh, che fosse stronzo lo sapevo, ma non così tanto.
“Mille grazie Luca.” Rispondo sarcastica.
“Però... però sei pur sempre una delle poche ragazze di cui mi fido, e mia figlia ancora mi chiede di salutarti. Senza contare che Bea -e non te la prendere con lei- mi ha raccontato un po’ come girano le cose a casa tua. Non ti devi preoccupare, ti ho richiamata solo per normale amministrazione. Quando ti serve una mano sai dove trovarmi.”
“Oh... grazie.” Ecco, questo mi ha lasciata abbastanza spiazzata. Cerco di assumere la mia normale espressione, e pongo un leggero sorriso sulle mie labbra. “Però un giorno mi riporti Sara? Vorrei lasciarle un bel ricordo di me. Magari così non viene su musona come il padre.” Ridacchio sarcastica come al solito.
“Spiritosa. Ora torna in magazzino, Bea ha bisogno di una mano con i nuovi arrivi.” Mi giro e gli rivolgo un bel sorriso, poi chiudo la porta alle mie spalle mentre lo vedo massaggiarsi le tempie lentamente. Ognuno ha i suoi problemi in fondo, ed è da un po’ che Luca non porta più la fede al dito. Scendo le scale del magazzino piano, e trovo Beatrice intenta a smistare pacchi di libri scolastici ed edizioni antiche di classici della letteratura. Ha la polvere anche sui capelli.
“Tutto bene?” mi domanda frizionandomi la fronte con la manica. “Luca?”
“Tutto bene. È stato piuttosto gentile... perché qualcuno gli ha raccontato alcune cose.” Lei mi sorride tirata e torna a sistemare i libri, mentre il mio cellulare mi avverte che ho qualche messaggio non letto.
Sono dieci giorni che cancello sms senza leggerli, e voglio continuare a farlo. Leggo i mittenti a bassa voce e ogni tanto storco il naso. Vodafone, Vodafone, Coso, Coso, Daniele, Coso, Coso, Mamma, Silver (tanto è Marco, lo so), Daniele, Bea, Bea, Francesca. Giusto gli ultimi si posso leggere. Quelli di Bea dicono di non fare tardi a lavoro, mentre Francy mi ricorda che stasera lei e Silvia non saranno a casa stasera perché vanno a mangiare fuori con Silvio, e io -me lo ricorda con una certa acidità- ho declinato con estrema stronzaggine l’invito gentile di quel santo ragazzo. Francesca mia, dovresti ringraziarmi perché quel santo ragazzo te l’ho fatto conoscere io, vorrei ricordartelo.
“Dora, tutto bene?” sento la voce di Bea lontana, dietro agli scaffali più lontani.
“Sì, non ti preoccupare. È Fra che mi ricorda di quanto il mondo sia sbagliato.”
“Oh bene. È routine.”
“Sì, routine.”
“Dora?”
Mi giro di scatto e per poco non mi prende un infarto. Davanti a me c’è Mengoni che mi fissa con due occhi indecifrabili.
“Che cazzo ci fai tu qua?!” Strillo con quanto fiato ho in corpo. Beatrice spunta tutta trafelata da dietro una pila di libri di Banana Yoshimoto e sbuffa sonoramente.
“Ok, ora farò finta di niente e andrò di sopra. Tanto il mio turno è finito.”
“Ma che cazzo dici?” sbotto girandomi a guardarla.
“Ricordi? Sono cazzi tuoi. Baci tesoro...” e detto questo va via e si sbatte la porta alle spalle, con un sorriso soddisfatto sulle labbra. Oddio, è colpa sua! L’ha fatto entrare lei! È passato dal parcheggio!
“Bea me la paghi!”
“Dora io...” punto addosso a Marco un dito accusatore e faccio uscire aria dalle narici con quanta forza posseggo.
“Devo ricordarti che l’ultima volta che sei venuto qui ti ho attaccato al muro o ci arrivi da solo?”
“Oh per il cielo. Fammi parlare!” sbotta bloccandomi le mani.
“Mengoni, lasciami le mani o faccio partire il ginocchio dritto sui tuoi coglioni! Ammesso che tu ce li abbia!” grido contro il suo viso, e subito dopo lui molla i miei polsi. Mi siedo di botto sul tavolo pieno di libri e Marco mi guarda di traverso.
“Pensavo che l’attrito fra me e te fosse passato.”
“Pensavo di essere stata chiara con te. Finito il piano tu sparisci e non ti fai più sentire, e io ti sgombro casa senza un fiato. Ma tu no! Sei qui e scassi, mi intasi la segreteria di messaggi e mi ammorbi di sms.”
“A cui tu non hai mai risposto.” Dice con una punta di veleno.
“Se è per questo non li ho neanche letti.” Controbatto inviperita e lui sospira rassegnato.
“A questo punto io dovrei andarmene dicendo ‘lascia stare’, e tu colta da un improvviso slancio mi prenderesti il braccio e mi diresti di rimanere qui e che sei pentita. Ma dubito che accadrebbe mai.”
“Le tue doti da veggente sono stupefacenti, sai?” dico sarcastica uscendo verso il parcheggio. Ho seriamente bisogno di una sigaretta e mi rendo conto che ho lasciato il pacchetto nel giacchetto. Batto i piedi a terra e do un calcio alla parete, mentre Mengoni mi da una delle sue Marlboro. Lo fisso di sottecchi e gliela strappo di mano, rimediando un accendino nella tasca dei miei pantaloni. Comincia a fare freddo, e Marco ha addosso ogni tipo di abito, dalla sciarpa alla felpa imbottita. Portandoli anche d’estate, con il caldo cocente, non dubito che adesso senta freddo. A me basta una felpa pesante e una canottiera sotto, ma lui sembra battere i denti con veemenza, e non per scherzo.
“Fa freddo.”
“Vattene.”
“Hai rotto i coglioni.” Sbotta con una calma assurda.
“È un sentimento reciproco.” Gli dico di rimando con il tono altamente incazzato. “E non dire che non sai il perché del mio stato d’animo. Sarebbe solo una conferma per me di quanto tu sia idiota.”
“Non sono venuto qui a chiederti scusa, non sono pentito di quello che ho fatto.”
“Oh, per carità. A Marco Mengoni è tutto dovuto. In fondo lui è Mr. Ormone impazzito, quello che quando canta Kiss fa sciogliere le platee. E io sono solo una frigida vero?”
“No, ti sbagli. Tu sei l’unica ragazza con cui io possa fare un discorso senza aver paura che mi salti addosso.” Dice contrito, per giustificarsi.
“Oh, purtroppo però nel nostro caso sei stato tu a saltare addosso a me. O sbaglio?” Ed ecco che spunta quel silenzio imbarazzante che mi sbrigo a riempire con un grugnito di insoddisfazione.
“Vieni a bere qualcosa con me stasera.” Annuncia Mengoni all’improvviso, e non è una domanda ma una semplice affermazione. Io me lo guardo con una faccia da killer.
“Cosa ti fa pensare che io voglia venire a bere qualcosa con te? Posso uscire con uno che ovunque va, viene assalito dalle gente? Io non ho questa pazienza!”
“Se è quello il problema andiamo in albergo a parlare in santa pace e ci facciamo portare il servizio in camera.” Per poco non gli mollo un pugno.
“Chi è che lavora in albergo da te? Chi?” Lui si mette a pensare e poi sbuffa sonoramente.
“Andiamo in albergo da Silver!” dice con fare serio.
“Silver è fuori a cena con le mie sorelle.”
“Ok, allora a casa tua. Almeno è vuota!” e lo dice con una semplicità disarmante.
“Ma che cazzo fai? Ti inviti da solo?”
“Dora, porca troia! Lo capisci che voglio parlare con te!?” rimango in silenzio e lui mi fissa dritto negli occhi. Ma stavolta, lo sguardo, lo distolgo io... contro ogni mia aspettativa.
“Non voglio parlare con te. Non voglio vederti e ancora non capisco perché sei qui.” Mi sbrigo a parlare, con la voce incrinata dal nervosismo e da quell’ansia che mi preme sui polmoni impedendomi anche di fumare una sigaretta in santa pace.
“Allora facciamo così. Io vengo, preparo la cena, ti canto la ninnananna ma non ti dico nulla. Però fammi stare tranquillo. Ti prego.”
Lo guardo storcendo la bocca e poi sospiro.
“Non una parola Mengoni. Mi accontento della ninnananna.”
e non aggiungo altro 
mi piace!!